Un papillon di seta rossa

Ve lo immaginate uno chef dall’accento francese e dal papillon sulla giacca bianca? Beh se non lo conoscete o non lo avete mai incontrato decisamente vi manca un lato della cucina italiana. Si una cucina con molti tocchi francesi e non potrebbe essere diversamente visto che lo chef di cui desideriamo parlarvi è di origine d’oltralpe.

Bernard Fournier è nato nel 1956 in una città francese, nota per i suoi cristalli, Baccarat, situata nel dipartimento della Meurthe e Mosella nella regione del Grand Est. Gli abitanti si chiamano Bachamois e quindi dovrò imparare ad apostrofarlo con questo termine al mio prossimo incontro. La città ha dato nome al cristallo che vi si fabbrica dal XVIII secolo con la tecnica creata da Aimé-Gabriel d’Artigues, capolavori che sulle tavole rendono una sala veramente suntuosa. Beh un clima che, pur nel ristorante di cui è patron “Da Candida” a Campione d’Italia, una stella Michelin, si nota e ne fa un piccolo scrigno delizioso specie in quella sua saletta privata  come pure nei tavoli in vista del camino.

Bernard ci siamo incontrati a Identità Golose e da quel tempo ci siamo rivisti spesso, ma ora ti chiedo alcune cose sul tuo percorso di vita prima che tu ci parli della ricetta che ci dedichi.

Allora come da Baccarat, invece che occuparti al limite di design ti occupi di cucina?

«Ormai me la fanno raccontare sempre- mi risponde Fournier con le erre che scivolano in bocca – sono figlio di un macellaio e venditore di bestiame e, poco più che quattordicenne non avevo ancora delle idee chiare – dopo le medie – di quale sarebbe stata la mia vocazione. Un giorno, a tavola, il mio fratellino Philippe, il minore di una famiglia di sette figli, ha pronunciato la parola “cuoco”. A partire dal quel momento, mi sono informato sul percorso didattico, scoprendo che – nella zona est della Francia, dove abitavo – c’erano parecchie scuole alberghiere, tra cui Strasburgo: una delle migliori di Francia. Essendoci – però – un severo test d’ingresso ho optato per un altro istituto quello di Contrexéville» – la famosa città del turismo termale – «si una ridente stazione termale ad un centinaio di chilometri da casa mia. Appena ricevuto il nullaosta, ho voluto comunque tentare l’ingresso a quella di Strasburgo… dopo due settimane ricevetti un fax che confermava la mia accettazione. Dopo solo una settimana di frequentazione, mi fu chiaro l’obiettivo della mia vita: aprire un ristorante tutto mio!»

Accidenti così presto?

«Beh bisognava pur iniziare e in Francia, cercavo un locale per aprire – finalmente – il mio ristorante. Ma ho fatto un bel po’ di strada prima: dal Ristorante Schillinger a Colmar 1 stella, quindi oltre quattro anni presso la Compagnie Paquet di Crociera, con l’ultima in Francia sull’ammiraglia delle navi della compagnia, il Mermoz.

In questo periodo, avendo tante ferie pagate, ho approfittato per fare tanti stage di cucina in Francia, Svizzera ed Inghilterra.
Poi c’è stata la bellissima esperienza della Hilton Orly Parigi, benché fossi pagato tre volte meno che sulle navi. Sono stato un anno e mezzo primo maître d’hotel del ristorante La Louisiane, poi direttore conferenze e banqueting. Lì per tre anni ho abbandonato la cucina, hélas!
Devo anche riconoscere – però – che sono stato l’unico dei dipendenti, a fare – ogni anno – 15 giorni presso il centro di formazione Hilton Europa, Nord Africa e Medio Oriente.

Poi mi è stato proposta la gestione dell’Orso Grigio di Trento, invito che inizialmente ho declinato, ma dopo quattro mesi l’offerta mi è stata rilanciata e – a questo – punto ho accettato. Trento è una città bellissima e fare un ristorante francese in quel contesto mi sembrava una buona idea.
Non è stato proprio facile inizialmente, ma il tempo mi ha dato ragione»

Mi sa che è lì che hai conosciuto tua moglie Adriana?

«Si, originaria della Val di Non, ma dopo 7 anni, anche se proprio lì a Trento quando sono arrivato io, si faceva solo cucina francese, ma c’era una mentalità molto provinciale, la zuppa di cipolle o – ancor peggio – il foie gras non erano visti di buon occhio».

Allora quel sogno di “Ristorante Tuo” si faceva sempre più impellente da soddisfare?

«Già cominciavo a sentirmi un po’ “stretto” e un giorno sul giornale l’Hôtellerie (a cui sono tuttora abbonato) ho letto un annuncio: “vendesi piccolo ristorante con stanze a Campione d’Italia”. Da lì è partito il mio interesse, sebbene non sia stato facile convincere la famiglia a trasferirsi. C’era pure un Casinò quindi movimento di gente, la vicinanza alla Svizzera e una mentalità più internazionale, cosa che avevo trovato nei miei precedenti passaggi nelle navi da crociera.

Campione d’Italia oggi è considerata la patria del foie gras proprio grazie al tocco Fournier che riesce a proporre molteplici varianti dello stesso prodotto, ma sempre mantenendo un’impostazione base pura, mai “sporcata” da qualcosa che ci viene costruito sopra. Lecito chiedersi come sia stato il percorso dall’inizio, quando la ricetta era poco conosciuta, fino ad oggi.

Tua moglie era cuoca o si occupava dell’accoglienza?

All’inizio, in sala, ma poi l’impegno dei figli da crescere ha fatto sì che fossi io – direttamente – ad occuparmene, ma non vi dico lo stress: prendere la comanda, correre ai fornelli, seguire i clienti con la scelta del vino (a Trento ho frequentato il primo e il secondo corso dei sommelier; non sono riuscito a fare l’ultimo per via dei miei impegni al ristorante).
Così ho scoperto “cosa vuole dire chef-patron?”
Significa essere cuoco, pasticciere, lavapiatti, contabile, maître, sommelier, addetto marketing e – soprattutto – far quadrare i conti! Oggi mi avvalgo della collaborazione di Giovanni Croce, il mio braccio destra, che aveva già lavorato con noi più di 8 anni fa e che – dopo un’esperienza in Francia – è ritornato in forza da noi.

Allora come hai ben presentato questo prodotto che adoro, durante il primo evento di Chef in Green nel 2018, “Da Candida” il foie gras è di oca, ma anche di anatra?

«30 anni fa – racconta Bernard – il foie gras derivava per l’80% da oca e per il 20 da anatra, oggi è l’esatto contrario. L’anatra è più tenera e, a differenza dell’oca, ha una sola razza davvero adatta: la moulard».

Ma la tua cucina incontra anche il pesce e non solo?

«Siamo un locale con un numero ridotto di coperti, in cucina ho cuochi maturi e preparati, come Giovanni Croce che contribuisce fattivamente al bene e alla crescita del locale. In considerazione della situazione difficile in cui versa Campione d’Italia – in seguito alla chiusura del più grande casinò d’Europa – la cifra d’affari del ristorante rischiava di abbassarsi notevolmente. Con Giovanni siamo riusciti a salvaguardare, se non addirittura aumentare, il livello gastronomico ora abbiamo quest’altro problema, la pandemia e gli spazi da mantenere tra i commensali e anche in cucina… il nostro obiettivo è quello di far sentire il cliente a casa propria; per farlo, organizzeremo nel modo giusto».

Ormai da 30 anni in Italia, lo chef francese Bernard Fournier nel suo Da Candida a Campione d’Italia, enclave tricolore in terra svizzera, dal 1995 una stella Michelin, propone quindi una cucina di prodotto in cui la tradizione francese è contaminata dal gusto e dalle materie prime italiane, e lui l’Italia l’ama molto.


Bernard ecco cosa propone per ricordare i nostri appuntamenti golfistici a Chef in Green.

Agnello al caffè Red Door, ceci e verze alle nocciole

Ingredienti (4 persone)

1 spalla da 800 gr

8 gr Caffè Red Julius Meini

4 gr di sale fino

1 costa di sedano

1 carota

1 cipolla

300 gr  di ceci

1 verza

80 gr di nocciole IGP del Piemonte

20 gr di olio di nocciole

fior di sale qb.

Procedimento

Per l’agnello

Far rosolare in una padella la spalla d’agnello utilizzando il grasso della pelle. Dopo averla rosolata inserirla in un sacchetto sottovuoto, aggiungere il caffè e il sale. Porre sottovuoto al 99% e cuocere sottovuoto in acqua a 65° per 12 ore.

A cottura aprire il sacchetto e dividere i liquidi di cottura dalla carne. Lasciar raffreddare la spalla, nel mentre filtrare dalle impurità i liquidi e ridurre a fuoco basso, eliminando così, durante la riduzione, le impurità.

Quando è fredda, tagliare la spalla a cubi evitando lo sfilacciamento.

Per le verdure

In una pentola soffriggere le verdure, aggiungere per ultimi i ceci e quindi coprire con acqua calda lasciando cuocere per 1 h.30 mn.

A parte poi frullare i ceci quando sono cotti con una parte del liquido di cottura per ottenere una purea molto morbida.

Per le verze

Stufare, con olio di nocciole e nocciole leggermente tritate, le verze in una casseruola, precedentemente lavate e mondate.

Per la salsa

Alla riduzione della spalla aggiungere un caffè espresso red Door, per un’aggiunta di acidità.

Aggiungere la spalla per scaldarla e glassarla

Impiattamento

Su un piatto iniziare dalla purea di ceci, quindi l’agnello, le verze e versare alla fine la salsa sulla carne d’agnello.

foto Gabriele Debetto

Ed ora una carrellata su alcune immagini sportive e professionali del nostro Bernard Fournier

 

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